Alain Delon: più che Zorro fu Lolita
“Il più bello degli angeli ribelli”, se la memoria non m’inganna era così che Paul Verlaine definiva Arthur Rimbaud, il suo giovane amante e delfino poetico. Ed era bello Rimbaud, di quello stesso genere di bellezza cui apparteneva Alain Delon, una bellezza irrimediabilmente legata all’età.
Se dovessi indicare l’incarnazione più stupefacente della gioventù non avrei dubbi: Alain Delon.
Perché nella perfezione del suo viso, nel contrasto tra il nero corvino dei capelli e l’azzurro ceruleo e screziato dei suoi occhi c’è tutto il tormento dell’adolescenza, ci sono tutte le sue contraddizioni, le sue ambivalenze, quel mix di ingenuità e furbizia, seduttività e irrequietezza.
E infatti Luchino Visconti, il regista più letterario dell’epoca d’oro del cinema italiano, lo volle in Rocco e i suoi fratelli e poi ne Il Gattopardo. E in quel momento nacque una nuova icona pop del giovane. Più raffinata di James Dean, che in fondo era solo un ragazzo arrabbiato, e molto più equivoca, e quindi affascinante.
La cosa che mi ha sempre inquietato, e ovviamente attratto di Alain Delon, era la sottile mutazione nell’evidente eternità.
Diversamente da tanti suoi colleghi, lui è rimasto “bellissimo” fino alla fine: non ha messo la panza, non ha perso i capelli, non si è imbolsito né tanto meno imbalsamato con improbabili interventi estetici. Non si è mai neanche tinto il celebre ciuffo!
Eppure… Qualcosa di sgraziato ha cominciato a intravedersi in quel viso perfetto. E ha a che fare con una sorta di strano ghigno, con la piega delle labbra che progressivamente ha cominciato a volgersi ingiù e ad acquisire quel tratto un po’ cafone con il quale un attore molto più brutto di lui, ma di certo più bravo come Robert De Niro, caratterizza i tanti boss mafiosi che ha interpretato.
Se è vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima allora può essere anche vero che il sorriso è il riflesso dello stile di vita.
E nello stile di vita di Alain Delon c’è qualcosa di profondamente torbido.
Dall’affair Markovic (la guardia del corpo in odore di malavita trovato morto in una discarica a Parigi nel 1968) all’amicizia con il gangster corso François Marcantoni, dall’animalismo trucido (voleva che alla sua morte venisse cremato anche il cane) alla deriva destrorsa e omofoba delle sue posizioni politiche.
Senza dimenticare la brutta storia del figlio-clone avuto dalla cantante Nico e mai riconosciuto, e il testamento iniquo tra quelli che invece portano il suo cognome.
Rivedendo i tanti video circolati in rete all’indomani della sua morte, mi è tornato in mente quel passaggio di Lolita in cui Humbert Humbert spiega qual è il potere occulto che questa ragazzina esercita su di lui:
“Quello che mi fa impazzire è la natura doppia di questa ninfetta… questo miscuglio di un’infantilità tenera e sognante e di una sorta di raccapricciante volgarità…”.
Ecco cos’è che mi ha sempre attratto e inquietato al contempo di Alain Delon, la sua natura doppia.
Ma se resta innamorato Humbert della ninfetta anche quando la ritrova adulta, “contaminata e gravida” allora possiamo restarlo anche noi del più bello degli angeli ribelli…
Perché di nessun attore o artista o scrittore dovremmo mai conoscere le miserie private.
In fondo basta seguire la piega delle labbra...
Fonte immagine copertina: mi-lorenteggio.com
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