Bartleby lo scrivano
Tra l’immensamente grande e il sorprendentemente piccolo non è detto che ci siano differenze, se sei Herman Melville.
Puoi inseguire per oltre settecento pagine una balena bianca o cercare di capire un bizzarro scrivano in cinquantadue fogli, il risultato è lo stesso: qualcosa di assoluto viene rivelato a te che leggi.
E infatti quando poi chiudi il libro – dopo giorni Moby Dick, dopo un’ora Bartleby lo scrivano- non riesci a pensare ad altro, perché sai che ti è appena stato svelato un segreto che però ti sfugge continuamente. Ti riguarda da vicino, ma ti è così prossimo che non riesci neanche a vederlo.
Puoi leggere tutte le interpretazioni che sono state date delle sue opere, non a caso sempre “assolute”, bibliche, e non esserne soddisfatto proprio per questo motivo: lui sta parlando di te. Delle tue ossessioni, delle tue paure, del tuo bisogno di sfuggire alle regole e ai contesti, della tua libertà.
E ora sei Achab ora la balena bianca ora Bartleby, un pallido scrivano assunto dal magistrato della Cancelleria di New York. “Un immobile giovanotto”, “il più stravagante di quanti abbia mai veduto”, “uno di quegli esseri per i quali nulla è possibile accertare”.
I would prefer not to. Una semplice frase. Compita, educata, “di sbiadita altezzosità” con la quale lo scrivano ribalta la realtà e “sovverte le nostre lingue”.
E mette in scacco gli interlocutori.
“Preferirei di no”. Così risponde al suo datore di lavoro ogni volta che gli chiede qualsiasi cosa esuli dal trascrivere e basta. E a nulla servono i richiami, l’ostilità dei suoi colleghi, la minaccia di essere licenziato. “Preferirei di no” è la risposta che rimbomba nelle orecchie del magistrato anche quando gli comunica di non avere più bisogno di lui. E anche quando lo informa che sta trasferendo il suo studio e anche quando lo implora di trasferirsi a casa sua, piuttosto...
“Non di rado accade che, se contrariati in maniera insolita e profondamente irragionevole, si senta vacillare in noi le nostre più elementari convinzioni. Si comincia, per così dire, a contemplare la possibilità che, per quanto sorprendente sia il fatto, tutte le buone e giuste ragioni abitino a casa dell’altro”
Nel suo negarsi, però, Bartleby c’è sempre.
“Una sua qualità primaria consisteva in questo: che egli era sempre là”.
E questo suo esserci sempre, e anche più del prevedibile e del ragionevole, è ciò che lo renderà a un tratto necessario al suo capo. Non alla vita pratica, al lavoro, ma a qualcos’altro.
A cosa? Non si può sapere, perché questo è il mistero di Melville, la sua capacità di entrare nelle pieghe della nostra anima talmente a fondo da arrivare a quel punto cieco di ognuno di noi in cui alla fine non ci si domanda più “Perché?” ma si accetta che “Così è”.
E non si risponde più cercando scuse e spiegazioni, men che meno affermando il proprio “io”, ma ci si limita a mormorare I would prefer not to, preferirei di no.
Perché forse è questo l’unico modo per essere liberi.
Infinitamente piccoli e insignificanti ma liberi.
“Ah Bartleby, ah l’umanità”
Fonte immagine copertina: pinterest
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