top of page
Immagine del redattoreLucia Tilde Ingrosso

Gilles Villeneuve: pirata & signore

di Lucia Tilde Ingrosso


Un ragazzo che aveva un grande amore: la velocità. Correva in strada, sulla neve, in aria. Come pilota della Ferrari, pur vincendo poco, ha conquistato l’amore dei tifosi. Con il suo coraggio, si è guadagnato l’eternità. Questa è la sua storia.


Gilles Villeneuve nasce in Canada, nella regione del Québec, il 18 gennaio. L’anno? Ora non ve lo sveliamo, più avanti scoprirete il perché di questo piccolo mistero. La sua è una famiglia modesta che vive in campagna. Ai motori si appassiona subito: il suo massimo divertimento, a soli sette anni, è mettersi al volante dell’auto del padre. Da ragazzino, si esibisce per gli amici in pericolose acrobazie, come fare le curve su due ruote. Fisicamente, è bruno, magro, gentile e furbo, con un’aria da eterno ragazzino.


In Canada spesso c’è la neve e per spostarsi si usano le motoslitte.

Il padre di Gilles ne acquista una, Gilles la modifica e inizia a gareggiare.


Diventa prima campione del Québec e poi dell’intero Canada. La sua vera passione, però, resta quella per le macchine. Ma l’automobilismo è uno sport costoso: per praticarlo bisogna avere tanti soldi o sponsor generosi. Gilles, per correre, è disposto a tutto, anche a vendere la casa. Così la sua famiglia (composta dalla moglie Joanna, sposata a vent’anni, e dai due figli Jacques e Mélanie) lo segue sui circuiti dormendo in un camper. Non si separano mai. Nelle pause, lui gioca con i bambini e suona la tromba, lei invita gli amici nel motorhome a prendere un caffè. Joanna asseconda i desideri del marito, anche se la velocità le fa paura. Prima di ogni gara, Gilles affida a lei il suo bene più prezioso: il tempo.


“Veniva da me, mi dava il suo orologio, mi baciava e diceva: aspettami, non ci metto molto”.


Un giorno, in una gara speciale, fra i concorrenti Gilles si trova di fronte il campione di Formula Uno James Hunt. A molti giovani piloti sarebbe venuta una gran paura. A Gilles no: in pista non teme il famoso collega e arriva anche a batterlo. Hunt, colpito dal suo stile di guida brillante, lo raccomanda per la sua scuderia, la McLaren.


Dopo poco, viene notato da Enzo Ferrari, leggendario fondatore della famosa casa automobilistica. È lui a scommettere su Gilles per sostituire Niki Lauda, in partenza. Stringendo l’accordo, Ferrari dice: “Una parte del compenso è per te, l’altra per la tua famiglia, così la smettete di dormire in camper”.

Per Gilles è la svolta, il coronamento di un sogno. “Se mi avessero detto che potevo esprimere tre desideri come primo avrei chiesto di correre in auto, come secondo di gareggiare in Formula Uno, come terzo di pilotare una Ferrari”.


All’inizio però i risultati non sono entusiasmanti. Va meglio sul piano dello spettacolo: Gilles ama follemente la velocità e pur di arrivare in fondo (possibilmente primo) è disposto a (quasi) tutto.


Questo fa di lui un pilota coraggioso e tenace, che pigia a fondo l’acceleratore, fa manovre spericolate e non si arrende ai guai meccanici. Passano alla storia le sue gare finite su tre ruote (dopo aver bucato una gomma). O un terzo posto conquistato nonostante l’alettone di traverso che gli oscurava la visuale (confidò di avere seguito le tracce degli pneumatici delle altre vetture per capire quale traiettoria tenere). Per questo il pubblico lo ama e i tifosi ferraristi lo eleggono loro beniamino. Il pilota della Ferrari numero 27 diventa presto una leggenda.

Tanto azzardo equivale però anche a tanti incidenti, che gli valgono il soprannome di “aviatore” (si diceva che passasse più tempo in aria che sulla pista). Ci vuole tutto l’amore di Enzo Ferrari per difenderlo dalle critiche, perché la verità è che Gilles fa tanto spettacolo ma pochi punti.

“Se mi vogliono sono così, di certo non posso cambiare: perché io, di sentire dei cavalli che mi spingono la schiena, ne ho bisogno come dell’aria che respiro”.


L’amore per la velocità prende tante forme. Gilles compra un elicottero e si sposta seguendo le strade dall’alto, perché non sa tracciare una rotta. Si racconta che amasse spegnere il motore sopra le Alpi e riaccenderlo in caduta (immaginate il terrore dei suoi passeggeri). Gli piace anche correre sull’acqua. Sul suo motoscafo fa montare un motore così potente che pochi, anche fra i piloti, avrebbero il coraggio di utilizzare. Ma ama correre anche sulle strade: con la sua Ferrari 308 rossa percorre i 425 Km fra Monaco (dove viveva) e Maranello in appena 2 ore e 45 minuti!

Tante imprese (o bravate?) nella vita, ma pochi successi in pista. Per la sua prima vittoria, bisogna aspettare l’ultima gara del 1978, ma è una vittoria che vale doppio, perché è quella nel gran premio di casa, quello del Canada (e così diventa eroe nazionale, o poco ci manca).


Nel 1979, in Ferrari Gilles fa coppia con l’austriaco Jody Scheckter. Il canadese sembra aver messo la testa a posto: vince tre gran premi e fa diversi piazzamenti. Storico il duello con il francese Renée Arnoux, nel Gran Premio di Francia, a Digione. I due combattono fino all’ultimo sangue (ma lealmente) per conquistare il secondo posto. Alla fine la spunta Gilles: il loro è uno dei combattimenti più appassionanti mai visti in Formula Uno.

Ma se all’inizio Gilles sembra poter ambire al titolo mondiale, nella seconda parte della stagione il compagno di scuderia Jody Schekter si dimostra più forte. Ecco quindi che Gilles lo aiuta a conquistare il titolo. Anche a Monza, il Gran Premio d’Italia, resta dietro, pur avendo tutte le possibilità per superarlo.

L’anno dopo, al posto di Schekter alla Ferrari arriva un nuovo compagno di squadra per Gilles. È Didier Pironi, bello, biondo e di famiglia ricca, francese ma di origine italiana. Lui e Gilles fanno amicizia e per un anno sembrano convivere in armonia nella scuderia della Rossa di Maranello, anche se il carattere combattivo di entrambi li fa definire “due galletti in un pollaio”.

Gilles sa anche vincere. Lo fa nel circuito cittadino di Monte Carlo, con un sorpasso azzardatissimo a pochi giri dalla fine.


Per festeggiarlo, le barche ormeggiate nel porto suonano le sirene.

Da un balcone di fronte al box della Ferrari, un appassionato urla al megafono: “Suonate le sirene, perché oggi è nato Dio!”

Due settimane dopo in Spagna, Gilles compie un altro miracolo. Partenza a razzo e in testa per 67 giri, resistendo a mille tentativi di sorpasso con grande sangue freddo. Al traguardo, ci sono cinque piloti in meno di un secondo, ma lui resiste e vince. “È la gara di cui andava più fiero, perché mostra esattamente ciò che era: anche con una macchina più lenta riuscì a vincere, senza buttare nessuno fuori di pista, badando solo a non farsi passare” ha commentato la moglie.


Arriviamo così al Gran Premio di San Marino del 1982. I ferraristi vanno forte, fortissimo. L’unico in grado di contendere loro la vittoria è Renée Arnoux, ma quando il francese si ritira, la doppietta delle rosse (primo e secondo posto sul podio) è a un passo. Gilles è in testa, Didier dietro. Gli spettatori in delirio. Mancano pochi giri e tutto è pronto per la festa. Dal box Ferrari, i meccanici espongono per i due piloti il cartello “slow”. L’indicazione è chiara: tenete le posizioni, non forzate. Ma Didier non ci sta, accelera, supera Gilles. Il canadese recupera, il francese passa di nuovo.


Il duello va avanti fino all’ultimo giro: Didier, dopo l’ennesimo sorpasso, è davanti per un soffio e vince il gran premio.


A gara finita, Gilles neanche vorrebbe salire sul podio. Lo fa controvoglia e la sua espressione dice tutto. “Credevo di avere un amico, un onesto compagno di squadra. Invece è un imbecille. L’unico vantaggio della lezione è che ora lo conosco bene. Un comportamento da bandito” dichiarerà alla stampa. Di fronte alla lealtà e al rispetto per il proprio compagno di squadra, non c’è voglia di vincere o febbre della velocità che tenga. “Le regole sono chiare: io ho rispettato tante volte gli ordini di scuderia, stando dietro a Jody” dirà. Gilles toglie il saluto a Didier.


I due non si parleranno mai più.


L’occasione del riscatto per il combattivo Gilles è dietro l’angolo. Due settimane dopo, il circus della Formula Uno si sposta infatti a Zolder, per il Gran Premio del Belgio. È l’8 maggio del 1982. Prove di qualifica: Didier è ancora una volta davanti a Gilles, di un soffio. Il canadese ha un ultimo giro per tentare di superarlo sulla griglia di partenza. Ai box i meccanici cercano di dissuaderlo, dicendogli che ha già usato le gomme da qualifica, ma lui non sente ragioni. Forse lo sgarbo di Imola brucia ancora troppo. O forse la spiegazione sta tutta nel suo carattere.


“Pretendo di essere sempre il migliore, in tutto. Non m’interessa una posizione da comprimario”.


Così Gilles scende in pista per l’ultimo giro di qualifica. Sarà l’ultimo giro anche della sua vita. Il destino si materializza all’uscita di una curva, sotto forma di una macchina più lenta. È la March di Jochen Mass (numero 17, noteranno i più scaramantici), che si sposta a destra per farlo passare. I due non si capiscono: anche Gilles si sposta a destra. È il suo ultimo errore, l’ennesimo azzardo di un uomo che tante volte aveva sfidato la morte per il gusto di un sorpasso, il sogno di un podio. L’impatto è violentissimo, Gilles viene sbalzato fuori, atterra contro le recinzioni, il casco schizza a 100 metri, le scarpe a 200. L’auto si disintegra. Il pilota della Ferrari riporta ferite gravissime e morirà poche ore dopo in ospedale.


Il dolore per la sua morte è grandissimo e non solo nel mondo dell’automobilismo.


Da allora sono passati più di 37 anni, ma gli appassionati continuano a ricordare questo piccolo canadese non tanto per i suoi successi sportivi (in 68 gare portò a casa sei vittorie) quanto per il suo coraggio e la sua generosità, in pista e nella vita. A Gilles sono state dedicate due curve, una nel circuito di Imola e una in quello di Zolder. Oltre a parchi, musei, monumenti. A lui, subito dopo la morte, venne intitolata anche una rosa, la rosa Gilles Villeneuve che “ha striature come scie di fuoco e profuma di chiodi di garofano”.


Ricordate il mistero della sua data di nascita? Solo dopo la sua morte, si scoprì che aveva falsificato la sua carta d’identità, per far credere di avere due anni di meno, temendo di essere ritenuto troppo vecchio per la Formula Uno (era nato nel 1950, non nel 1952). Una piccola debolezza, per un uomo così coraggioso. Non aveva paura degli avversari, dei guasti meccanici, della sfortuna o della morte. Aveva un unico terrore: non riuscire a realizzare i suoi sogni.

Fa sorridere, oggi, la frase che il giornalista Gino Rancati disse all’inizio di un’intervista al “Tazio Nuvolari canadese”: “Ventinove anni, ma non li dimostra”. Gilles abbozza, all’epoca ne aveva 31.


Ne aveva invece solo 11, di anni, Jacques Villeneuve, primogenito di Gilles, all’epoca dell’incidente mortale del padre. “Ho pianto ininterrottamente per due settimane. Poi ho smesso. Mi sono detto: ‘adesso basta lacrime, sono l’uomo di famiglia’. Avevo una mamma e una sorellina. E sono andato avanti a ciglio asciutto”. Anche Jacques ha amato l’automobilismo e la velocità. Ed è arrivato a correre in Formula Uno. Meno carismatico del padre, è però riuscito a vincere 11 gare e aggiudicarsi un Mondiale di Formula Uno, nel 1997, a 26 anni, primo (e finora unico) pilota canadese a raggiungere un simile traguardo.


Ma Jacques non è l’unico erede di Gilles. Ce n’è un altro, che porta il suo nome, ma anche il cognome del suo acerrimo nemico.


Facciamo un passo indietro e torniamo proprio a Didier Pironi, detto Didì, il pilota francese che superando Gilles a Imola, nel 1982, lo fece infuriare e, chissà, ne spezzò il cuore. Qualcuno dice che Gilles, a Zolder, morì anche per colpa di Pironi. Ma non è vero. Gilles era un pilota spericolato, la velocità era la sua droga. Gilles era destinato a morire in pista e, forse, non si sarebbe augurato una fine migliore.


Anche Didier non era tanto diverso. Dopo la morte di Gilles, continua a correre in Ferrari, ottenendo dei buoni risultati (e anche una vittoria). Ma il destino attende anche lui: tre mesi dopo l’incidente di Zolder, Didier ne ha uno molto simile, su circuito di Hockenheim, in Germania. Impatta contro una macchina più lenta: lo schianto è terribile. Viene estratto vivo dalle lamiere, ma le sue gambe sono spappolate. Furono necessarie trenta operazioni chirurgiche per restituirgli una vita quasi normale, ma non il brivido della Formula Uno. “Sono più forte di prima” diceva, ma non venne mai riammesso sui circuiti automobilistici. La velocità, però, è un demone e lui, benché avesse avuto tutto dalla vita (denaro, successo, amore), riprese a gareggiare, questa volta sui motoscafi offshore e qui trovò la morte, in un incidente nel 1987.


Questa è l’ultima tragedia, ora vi aspetta un capitolo più lieto di questa incredibile storia.


Al momento della sua morte, Didier aveva una moglie, Catherine Goux (da cui si era da poco separato) in attesa di due gemelli. I due bambini sono nati nel 1988 e Catherine ha deciso di chiamarli uno Didier e l’altro Gilles. I gemelli, legatissimi, hanno poco più di trent’anni. Anche i due amano le corse, ma la loro mamma ci ha tenuto soprattutto a farli studiare. A guardare le loro foto vengono i brividi: uno è bruno con gli occhi scuri, l’altro ha capelli e occhi chiari. Ma, in un ribaltamento della sorte, quello biondo è Gilles e l’altro è Didier.

A loro auguriamo ciò che Villeneuve diceva di sé: “Se è vero che la vita di un essere umano è come un film, io ho avuto il privilegio di essere la comparsa, lo sceneggiatore, l’attore protagonista e il regista del mio modo di vivere”.


Post recenti

Mostra tutti

Comments


Commenting has been turned off.

Altri articoli

1/10
bottom of page