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Immagine del redattoreAnna di Cagno

Il corpo: da umano ad avatar








Uno dei tanti privilegi di “avere una certa” è poter dire: io c’ero, me lo ricordo.


Sì, mi ricordo gli Anni Ottanta e l’ossessione del Corpo Perfetto. 


Cose nuove arrivavano dagli States, si chiamavano aerobica e body building. E d’un tratto, quei corpi esibiti come gesto politico durante Woodstock o una qualsiasi manifestazione femminista apparvero brutti, sfigati, mollicci.

Il nuovo corpo, nato in palestra al ritmo assordante di musica, diventa il simbolo di quel potere personale che la generazione precedente ha dimenticato nel sogno del collettivismo. 

Non siamo riusciti a cambiare il mondo con i figli dei fiori, possiamo almeno cambiare il nostro corpo e renderlo bello e tonico.


L’estetica californiana di quegli anni satura al punto che, sul finire degli Anni Novanta, un nuovo modello di corpo prende piede.


Ha le forme di una ragazzina sottopeso (Kate Moss) e racconta una storia grunge di trasandatezza e rifiuto del mito yuppie della perfezione. 

Forse sta arrivando la fine del mondo e quindi chissene.


Allo scoccare del nuovo Millennio il mondo non è finito, non c’è stato neanche un bug e, al contrario, le nuove tecnologie stanno riempiendo di soldi ragazzini brufolosi della Silicon Valley e cambiando le nostre vite. 


Prima i videogiochi e poi media digitali aprono le porte alla sperimentazione: puoi essere quello che vuoi, chi vuoi, anche un avatar. 


E la chirurgia ti consente di diventare quell’avatar che ti sei divertito a creare. Puoi gonfiarti, tirarti, svuotarti, ridisegnarti. Labbra, naso, tette, culo, cosce, polpacci: basta scegliere e possono essere tue. 


La realtà si fa sempre più complessa e frammentata, non esiste più il pubblico, ma una serie crescente di nicchie e quindi dove c’è un fenomeno ne nasce un altro inverso e contrario. 


Ed ecco che parallelamente alla dittatura della chirurgia estetica si afferma l’ideologia della body positivity. 

Che in sé è anche un bel concetto, se vuole dire accettarsi, guardare con indulgenza le proprie imperfezioni e non far caso a quelle degli altri, salvo poi trasformare il corpo in un’arma di aggressione verso il prossimo. Abbinalo alla cultura woke e il gioco è fatto, non puoi più neanche dire che Gongolo era il nano cicciottello di Biancaneve che, a sua volta, andrebbe censurata perché lesiva del ruolo della donna nella società delle fiabe.


Ed eccoci nei ruggenti Anni Venti del Terzo Millennio con un nuovo quesito: 


che fine fa il corpo con il dilagare dell’intelligenza artificiale? E come sarà?


Tonico come negli Anni Ottanta? Pallido come Kate Moss? Plasmato sui canoni della chirurgia estetica o diversamente magro? 

E sì, perché quello dell’Embodiment è un quesito mica poco. Perché è ormai acquisito che per sviluppare una forma avanzata di intelligenza artificiale questa deve avere un corpo o comunque qualcosa di analogo che le consenta di interagire con l’ambiente. 

Può essere un robot, una protesi, una simulazione virtuale ma l’apprendimento anche per lei non può nascere solo da processi computazionali, richiede qualche forma di esperienza fisica. 


E mentre la tecnologia avanza a velocità tale che si fa fatica anche solo a pensarla, sul corpo delle donne si continua a fare leggi e a inventare reati universali e intergalattici.


Fonte immagine copertina: youtube.com


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