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Immagine del redattoreAnna di Cagno

JACKIE BROWN: Una meravigliosa cattiva




Ho la sensazione di dover ricominciare sempre tutto da capo – disse Jackie – e, prima che me ne accorga, non mi rimarrà più nessuna scelta. Sarò incastrata con la vita che riuscirò ad avere».  


E te la immagini un po’ come la descrive Elmore Leonard in Punch al rum, il romanzo da cui è stato tratto il film di Tarantino, e un po’ ci aggiungi qualcosa di tuo. E se sei un uomo, la ami e la temi come Max Cherry, ex poliziotto titolare di un’agenzia di prestiti per cauzioni; e se sei una donna… 


Beh, se sei una donna, ti domandi: ma io ce la farei?


Ma non a fare da corriere per un trafficante d’armi, quello è solo un artificio narrativo, ce la farei a cambiare il corso della mia vita?

Riuscirei a liberarmi da quell’incastro che toglie qualsiasi possibilità di scelta?

Sarei capace di fregare tutti quelli che sono pronti a fregarmi? E sono più bravi e referenziati, perché lo fanno per lavoro e perché sono uomini, e quindi da sempre abituati a sopraffare…

Perché sono queste le domande che Jackie solleva.

E se non le solleva, allora resta soltanto un film minore di Quentin Tarantino, che segue una sceneggiatura a prova di grande schermo, destinato a restare schiacciato da Le Iene e Pulp Fiction e Kill Bill 1\2. 


Leggere il libro che ha ispirato il film può, poi, davvero generare un certo sconforto, perché scopri che Tarantino non ha aggiunto granché, tranne che cambiare cognome e colore della pelle alla protagonista (la Jackie del romanzo è bianca e bionda, e di cognome fa Burke) e ritoccare il finale, e che Leonard è un bravo scrittore di genere.


Ma se ti soffermi un attimo tra le parole scritte e i primi piani di Pam Grier, se non ti lasci travolgere dalla furba turn-page technique di Leonard e l’irresistibile gigioneria cinematografica di Tarantino allora…


Ti si apre quel piccolo mondo che alcune donne custodiscono.


«Mi lascio coinvolgere da situazioni che so che possono essere difficili, e ci entro a occhi spalancati, con gli occhi ben aperti, e poi mi ritrovo a dover escogitare un modo per uscirne (…) Ma sai qual è la cosa che mi ha stancato più di ogni altra? Sorridere. Fare la parte della persona gentile».


Apparentemente sembra che stia parlando del suo lavoro di hostess d’aereo, ma in un romanzo nulla avviene per caso e neanche in un film, men che meno se dietro la macchina da presa c’è Quentin Tarantino. 

Il ragazzaccio di Hollywood ha voluto lei, Pam Grier, icona sexy del genere blaxploitation (b-movie per il target afro-americano di grande successo negli Anni Settanta), poi caduta nel dimenticatoio del feroce star-system anche a causa di un tumore.


È lei, con la sua bellezza matura a fare di un personaggio di genere, la donna che incarna tutte le donne.


Jackie non è solo una dei tanti protagonisti dei romanzi di Elmore Leonard che vivono in una terra di mezzo tra la rispettabilità e la galera, il lavoro e il malaffare. 


È una donna che si è stufata di fare, e quindi di essere, ciò che ci si aspetta da lei.


E cioè indossare ogni mattina una divisa, pettinarsi, farsi bella, sorridere, dire sempre di sì, mostrarsi affidabile e solerte e occuparsi degli altri.

Ha da poco superato i quaranta, è arrivata al punto di svolta della vita e sa che se non vuole definitivamente rinunciare a sé stessa deve cambiare le regole del gioco.

La posta in palio è infatti qualcosa di più dei cinquecentomila dollari da importare illegalmente in America: è lei, la sua libertà da tutti gli incastri in cui la vita l’ha intrappolata, la sua determinazione a costruire il futuro, a partire da subito. Per farlo, non deve più avere paura di nessuno: né della polizia né della malavita, né del bene né del male. E neanche di quella naturale attitudine che le donne hanno a innamorarsi, fidarsi e affidarsi a un uomo.


E qui Tarantino compie il sorpasso su Elmore Leonard.


Se nel romanzo, infatti, la protagonista e Max Cherry vanno via insieme per iniziare una nuova vita, nel film avviene quello scarto che ti fa capire che stai guardando un capolavoro e che il regista ci ha messo del suo.

«Hai paura di me?», gli domanda quando, come da accordi, passa a prenderlo in agenzia per fuggire in Spagna.

«Un pochino», le risponde Max, indicando con le dita l’esatta quantità.

Si baciano, lei ha un attimo d’incertezza, poi si gira e se ne va.

E mentre guida, lentamente cambia espressione e prende a canticchiare Across 110th Street di Bobby Womack.

E tu sei lì e ti domandi: anche questo faceva parte del piano? Era un no, quello che voleva sentirsi dire oppure c’è rimasta male come tutte le donne che alla fine s’innamorano sempre?


Ma lei non ti risponde. Guida e canticchia. Ed è ancora più bella.


N.B. Dopo l’uscita del film, Pam Grier ha dichiarato: «Nel mio finale, io e Max ci diamo un bel bacio, poi un altro, poi ci abbracciamo e lui lascia che a tutte le chiamate risponda la segreteria telefonica. Se ne occuperà più tardi. Spegne le luci, prende le chiavi, viene con me, monta in macchina. Io parto e, all’improvviso, lui diventa una macchinetta fastidiosa che parla di continuo. Io faccio il giro dell’isolato, lo faccio scendere e sloggio via da lì».

A tanto né Elmore Leonard né Tarantino sarebbero mai arrivati.


Fonte immagine copertina: ibs.it


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