Kit Carson, anche gli eroi temono il tempo
di Mario Coglitore
Contrariamente a quello che è stato scritto diverse volte sono alto 1 metro e 88 circa. Tex è più basso di me. Di almeno dieci centimetri, ma non glielo faccio pesare, perché su questi dettagli è abbastanza permaloso e sarebbe capace di chiedere ai nostri autori di pareggiare il conto e colmare lo scarto nelle vignette.
Ho un’età di tutto rispetto; sono vicino ai sessanta, ma di questo parlo poco, preferisco lasciar fare all’immaginazione dei miei lettori. E anche lettrici, a quanto pare, perché, si sa, i capelli bianchi solleticano l’immaginario femminile.
Sono sempre a fianco del mio pard, e gli copro le spalle da così tanti anni che oramai il fatto di stare sullo sfondo non mi pesa più di tanto. Mi si definirebbe un “comprimario” se non fosse che condizionò le scelte di Willer più di quanto non possa sembrare. Perfino a Kit, il figlio di Tex che porta il mio stesso nome (cosa che è per me motivo di orgoglio), ho insegnato a sparare io quando era ancora un moccioso, sveglio e agilissimo.
Trovo le colt molto maneggevoli, anche se con il Winchester faccio miracoli e il fucile resta l’arma migliore in assoluto secondo me.
Seduto su questo sperone di roccia che si affaccia sull’accampamento navajo qui sotto, in cui viviamo ormai da alcuni anni, le sfumature del tramonto mi danno un po’ di malinconia, specie quando penso ai giorni che passano. E a quelli passati, soprattutto.
Un lento filo di fumo si alza dal fuoco che stanno accendendo per arrostire la carne, deve essere la legna umida. E’ un momento di sospensione dal mondo mentre il paesaggio mi viene incontro e mi porta l’odore dei pini. Sto proprio invecchiando, per la barba di Matusalemme, e finirò per diventare davvero, come mi ha detto Tex decine di volte, un vecchio cammello; e per di più triste.
Ho tanti di quei ricordi che potrei riempire il torrente che scorre qua vicino nel quale i piccoli pellerossa sguazzano ridendo come matti durante la bella stagione. Se permettete, mentre vi parlo mi rollo una sigaretta. Pare che dalle vostre parti si debba parlare poco di tabacco e infatti veniamo disegnati sempre “politicamente corretti” – si dice così no? – ma in realtà a me fumare piace parecchio…
Quanto alla politica, a parte un paio di barbagianni di Washington incontrati per caso in un’unica occasione, non ho mai avuto il piacere.
Dalle nostre parti viviamo con un solido senso pratico e non stiamo tanto lì ad elucubrare su cose inutili. Troppe delle mie sorelle e troppi dei miei fratelli di sangue sono stati massacrati dalle giacche blu perché io non mi senta scandalizzato. Incazzato suonerebbe meglio, ma in redazione non mi farebbero mai passare un’espressione del genere.
Fa freschetto, dovrò mettermi una giacca più pesante. I dolori alle ossa prendono il sopravvento ultimamente e quando monto in sella non trovo più la stessa spinta di una volta, accidenti.
Tex riesce ancora a lavarsi con l’acqua fredda di mattina, io invece, me la scaldo un po’ aspettando che il caffè, nerissimo, borbotti nel pentolino.
Pensavo proprio ieri, mentre spazzolavo il mio baio, a quante miglia ho percorso durante la mia vita, su e giù per mezzo continente. Altro che Buffalo Bill, che è finito direttore di un circo e che tenta di imitarmi spacciandosi per uno sciupafemmine, con quei baffi spinosi e quella mezza barbetta da capra. Certe volte la storia non rende giustizia, corna del diavolo.
Sarà che non ho mai preteso la parte della “prima donna”, quella la lascio a Tex che forse ha il portamento giusto, lo stile indovinato. Il ruolo della “spalla” mi si addice meglio e del resto non ci sarebbe protagonista senza qualcuno che gli reggesse l’intelaiatura del palcoscenico, come spiego sempre a Kit junior che un po’ morde il freno senza che suo padre se ne accorga. Il silenzioso e fedele Tiger Jack mi direbbe che sono tutte cose prive di importanza: Manitou, il Grande Spirito, ci aspetta nelle sue verdi praterie dove scorrazzeremo per l’eternità e tutti saremo uguali a tutti. Ragionamento un po’ troppo consolatorio, eppure pieno di speranza alla fine.
A proposito, devo dare una regolata alle punte dei baffi e al pizzo.
La giovane signora dell’emporio – qualche settimana fa eravamo nella piccola cittadina che dista un paio d’ore a cavallo – mi guardava con un certo interesse e non sia mai che lo stagionato Carson trascuri una bella ragazza, che mi prenda un colpo. La prossima volta le proporrò una passeggiata sulle colline lì attorno. Quindi mi laverò la camicia buona, me lo segno.
Mi dicono che sembro un tipo elegante nel portamento, e se non fossi un ranger del Texas con la fissa delle bistecche spesse tre dita e delle patate fritte in cui affogherei volentieri, potrei aspirare a sentirmi un gentleman inglese con ogni probabilità. Personalmente credo di essere un gentiluomo di campagna, anzi di sconfinata prateria.
Ma chissà, magari sono solo le congetture di un uomo di mezza età che spera di invecchiare dignitosamente e di essere seppellito dagli amici sotto un albero secolare accarezzato dal vento…
Mi chiamano; è il segnale concordato di Tex che imita un gufo.
Vado a spolpare un paio di costolette.
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