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Immagine del redattoreAnna di Cagno

Mme de Merteuil l’arte della costruzione di sé




Se Le relazioni pericolose, che detto in francese però suona meglioLes liasons dangerauses è uno dei romanzi più incredibili che può capitare di leggere, la Marchesa de Merteuil è un personaggio imprescindibile per ogni donna (e non solo).


Attenzione però: interpretare Madame come una proto-femminista che fa proprie le armi degli uomini, in primis la ragione e l’arte della guerra, per riscattare il suo sesso non è certo scorretto, ma non è abbastanza.


Sì, lo dice lei in una delle sue celebri lettere (LXXXI):“Sono nata per vendicare il mio sesso e dominare il vostro”, ma ci possiamo fidare? Siamo sicuri che ci stia dicendo tutta la sua verità?

Perché lei è molto di più.

È quel binario di scambio tra il potere e il sapere, è Ragione che amministra il Potere attraverso il Sapere, non a caso siamo in pieno Illuminismo (è un romanzo del 1792).

La marchesa de Merteuil è una “regina” alle prese con la sfida più pericolosa per un essere umano: costruire sé stesso.


Choderlos de Laclos la costruisce come un’opera d’ingegneria linguistica (era un militare esperto di fortificazioni), e infatti lei è parola prima che azione, racconto prima che donna, pensiero prima che corpo. È un’invenzione a sé stessa, prima che agli altri, un’illusione di sé. Di ciò che si può o si vuole essere.


Chissà se nello scriverlo tra Besançon e l’isola di Aix in cui era stato incaricato di ristrutturare il forte, Pierre-Ambroise-François si è reso conto di aver creato un romanzo di una modernità assoluta.

Nessun narratore onniscente, centosettantacinque lettere, otto voci diverse che cambiano tono a seconda dell’interlocutore e del tema affrontato, per salvare, come scrive il fantomatico redattore all’introduzione del testo “dalla noia dell’uniformità”.

Il romanzo classico non è ancora nato, ma in queste pagine s’intravvede già quello post-moderno.

Altro che flusso di coscienza, qui siamo già alla frammentazione delle coscienze, al caleidoscopio d’identità che s’inventano solo e nella misura in cui si raccontano, attraverso quel media apparentemente intimo e vero come la lettera che si fa luogo d’artificio, palcoscenico del proprio teatro.

E lei è la più brava. La più falsa. E quindi la più vera.

Molto più dell’affascinante Valmont, che alla fine trova nell’amore la redenzione dai suoi tanti peccati e si rivela essere solo uno stiloso fake di quello che ci ha raccontato.

Lei no. Madame resta sé stessa fino alla fine. Ma noi non possiamo essere certi di cosa sia.


"... non contenta di riuscire a non farmi capire, mi divertivo a mostrarmi sotto i più diversi aspetti; sicura dei miei gesti sorvegliavo le mie parole, regolavo gli uni e gli altri secondo le circostanze o anche solo secondo la mia fantasia: da quel momento, il mio pensiero fu solo mio, e mostrai solamente quello che m'interessava lasciar vedere."


Chiudiamo il libro e ancora non sappiamo se sia solo una donna innamorata che ha osato troppo, o una stratega mitomane che ha sbagliato tecnica di guerra come di lì a poco Napoleone a Waterloo.

E pazienza. Forse è così davvero, forse l'illusione (di noi e degli altri) è l'unica realtà che ci è data di conoscere.


Verrà punita nella vanità (un tocco di giustizia divina andava introdotto), sfregiata per sempre dal vaiolo e impoverita dalla perdita di una causa per l’eredità. Lascerà Parigi senza voltarsi indietro, ma si porterà via quell’illusione di sé. E per questo resterà sempre la più misteriosa Inaffondabile mai raccontata.


Merci Madame de Merteuil, non ci stancheremo mai di domandarci: è davvero possibile riuscire a mostrare di noi solo quello che ci interessa lasciar vedere?


Fonte immagine copertina: laguerre7739.wordpress.com

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