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Immagine del redattoreAnna di Cagno

Mina nostra signora delle corna


Ognuno ha la sua Mina. C’è chi ama l’urlatrice di Mille bolle blu, chi l’interprete di Battisti, chi la voce senza corpo degli anni Ottanta, chi quella delle cover dei "pulcini" (una per tutte Oggi sono io di Alex Britti), chi quella made in Usa che canta The Voice.


Ma la mia è e sarà per sempre la Mina degli Anni Settanta.


Quella di Milleluci, per intenderci, che apriva la trasmissione seduta su uno sgabello, fumando una sigaretta (all’epoca si poteva anche in tv!) e cantava Non gioco più me ne vado accompagnata dall’armonica di Toots Thielmans


La vita è un letto sfatto, io prendo quel trovo e lascio quel che prendo dietro me…”


Correva il 1974 e lei, in coppia con Raffaella Carrà, conduceva il varietà del sabato sera. Il sogno erotico dell’italiano medio e la Dea pagana. La ragazza romagnola tutta tuca-tuca e ombelico e la donna nuova.

Perché lei è stata una “cosa” nuova.

Come David Bowie, l’androgino marziano che indossava tutine e rossetto, ma trasudava testosterone. Al suo cospetto Alberto Lupo sembrava un impiegato e le altre, tutte le altre colleghe, delle casalinghe solo un po’ intonate.


Maestra di stile e unicità, tra le tante cose che Mina ha insegnato alle donne della sua generazione – tra cui, non ultimo, truccarsi e vestirsi come un’icona – c’è stata l’arte di portare le corna.

Solo lei ha saputo rivoltare lo stereotipo della moglie tradita per restituirci una donna sensuale, libera e consapevole: cornuta sì, ma viva e desiderante. Merito di Mogol e Battisti, ma anche Paolo Limiti, Cristiano Malgioglio e il sottostimato Anselmo Genovese (ndr autore di Anche un uomo).


Ma chi, se non lei, poteva dare voce e forma a quella rivoluzione di costumi iniziata alla fine degli Anni Sessanta? E chi, se non lei, poteva riscattare generazioni passate - e a venire - di donne tradite dagli uomini più egoisti e prepotenti che abbiam conosciuto mai?


Quella tra autore e interprete, si sa, è un’alchimia, una chimica intraducibile, un rapporto erotico di scambio e complicità. Perciò non è azzardato pensare che senza di lei Alberto Testa e Walter Malgoni non sarebbero riusciti a scrivere frasi del tipo


parla fa’ qualcosa sto morendo fa qualcosa dimmi che mi uccidi dimmi che mi odi… mandami dei fiori anche se non sono morta…


Lei, la sua cascata di capelli ora rosso rame ora biondo platino, i suoi occhi senza sopracciglia riuscivano a dare a parole come “io ti chiedo ancora, il tuo corpo ancora” l’intensità di un desiderio e di una libertà fino a quegli anni mai pronunciate, men che meno urlate con un’estensione di tre ottave e un florilegio vocale di – dicono gli esperti – ben quaranta semitoni.


Sì, Mina è stata la cantante più cornuta della storia della musica leggera. La donna più innamorata e maltrattata.


“io vedo tutte quante le mie amiche Son tranquille più di me Non devono discutere ogni cosa Come tu fai fare a me Ricevono regali e rose rosse Per il loro compleanno Dicon sempre di sì Non hanno mai problemi e son convinte Che la vita è tutta lì”


Mina è stata la schiava d’amore che ogni uomo vorrebbe...


“Adesso arriva lui Apre piano la porta Poi si butta sul letto E poi e poi

Ad un tratto io sento Afferrarmi le mani Le mie gambe tremare E poi e poi e poi e poi…”


Ma soprattutto è stata la voce del desiderio femminile che per la prima volta si confessava senza ipocrisie.


Salvo qualche piccola concessione alla censura che trasformò una “v” in una “f” nella scandalosa L’importante è finire.


E se le corna facevano parte di questo processo di liberazione allora grazie due volte, Inaffondabile Mina, perché se ancora non siamo certe che anche un uomo possa sempre avere un’anima, di avere un corpo, oggi, tutte le donne ne sono sicure. Ed è anche un po’ merito tuo.


Fonte immagine copertina: ilmanifesto.it - foto Mauro Balletti

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