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Mura maestra di seduzione e trasgressione

di Patrizia Violi


La letteratura rosa è sempre stata uno specchio dei tempi.


Fin dalle origini di questo genere, le autrici hanno offerto nei loro romanzi una realistica fotografia della condizione femminile nella loro epoca. Tutte si sono adeguate, con più o meno originalità e devozione. L’unica ribelle, la sola voce fuori dal coro è stata quella di Mura, scrittrice molto trasgressiva e avanti rispetto al periodo in cui visse.


Al secolo Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri (Bologna 1892- Lipari 1940)


scelse il nome d’arte Mura, come omaggio al soprannome del personaggio ambiguo e scandaloso della contessa russa Maria Nicolaieva Tarkowska, accusata e processata nel 1910, per l’omicidio di uno dei suoi numerosi amanti.

E questa decisione è stata, fin da subito, un eloquente manifesto provocatorio.


Durante il fascismo, in cui il romanzo rosa veniva usato come strumento di propaganda, per crescere le giovanette come future madri e spose, questa autrice totalmente controcorrente, scelse di descrivere le sue protagoniste come donne consapevoli del proprio desiderio sessuale. Fu la prima a raccontare la vanità, a indugiare sui processi di vestizione per prepararsi a un incontro amoroso, a parlare di fascino, bellezza, seduzione.


Di umili origini, il padre da cameriere divenne commerciante di alimentari, dopo Bologna la famiglia si trasferì a Livorno e successivamente, nel 1912, a Milano.


Qui Mura iniziò a lavorare per il Touring Club e successivamente come giornalista in varie riviste e testate.


Poi, la leggenda vuole grazie a intrallazzi sentimentali, cominciò a pubblicare romanzi con la casa editrice Sonzogno.


Il suo stile fu sempre molto enfatico, nel 1919 con Perfidie (ripubblicato sempre da Sonzogno nel 2002) scandalizzò e vendette moltissimo, allarmando i benpensanti. Nell’introduzione del romanzo la protagonista Sibilla scrive:

“Amo le donne. Mi appassionano. Mi interessano. Sono il più bell’esempio di semplicità umana attraverso una rete complicata di stati d’animo… Le studio. Se posso le perverto…”


Sicura di sé e sfrontata, Mura ammaliava gli uomini.


Era affascinante ma non bella: “Una donna piccolina, un poco formosa, con un grande naso, con poco mento, con bellissimi occhi e un sorriso che non capii se fosse cordiale o inventato”, cosi la descrisse Liala, che volle incontrarla dopo aver letto e apprezzato il romanzo Piccole (Sonzogno-1921), best seller di 33.000 copie che esplorava la psicologia e la sensibilità adolescenziale.

Le due autrici non si piacquero. La marchesa Amalia Liana Negretti Odescalchi, in arte Liala, trovò la collega un po’ aggressiva e dozzinale, ma questo non le impedì copiarle molte idee innovative e riproporle poi, un po’ edulcorate, nei suoi romanzi. E Mura intuì subito che di Liala, tanto bella, elegante e nobile, era meglio non fidarsi.


La vera rivoluzione di Mura fu di rovesciare con malizia la morale della fiaba.


Infatti, le eroine delle sue storie trionfavano, la sfangavano, senza sacrificarsi. Soprattutto senza essere brave ragazze. Spiegò che le cattive ragazze potevano andare ovunque se imparavano I trucchi per cavarsela. Lesse la fiaba di Cenerentola da un’angolazione diversa e si chiese: cosa serve essere buone e gentili?


Il principe non è stato folgorato dalla bontà d’animo, ma colpito dalla bellezza e dal mistero.


A riprova di questa teoria nei suoi romanzi propose un interessante, nuovo e trasgressivo, vademecum sulla seduzione. Illustrò e ribadì che l’ingrediente principale per catturare l’uomo era provocarne il desiderio rendendolo insicuro. Giocare sull’incertezza, sull’assenza e ovviamente essere molto, molto seducenti.


Il segreto stava nel ribaltamento delle aspettative amorose: mai mettersi nelle mani dell’amato, dipendere emotivamente da lui.


L’unico potere che una donna poteva esercitare nel modo dell’amore era condurre le regole del gioco, negandosi per farsi rincorrere, suscitando gelosie ed equivoci. Per protrarre il corteggiamento e lo spasimo fino all’esasperazione.


Con la sua produzione e introdusse la componente narcisistica che diventerà così importante ed essenziale nelle storie del rosa. Strategica e anche troppo moderna, pubblicò storie che fecero sempre scalpore.


Il romanzo considerato più oltraggioso fu Sambadù, l’amore negro (1932).


Nel libro, ispirato dai viaggi compiuti in Africa con il fidanzato, raccontò la storia d’amore fra un ingegnere di colore, laureato in Italia, e una ricca borghese fiorentina, con tanto di matrimonio e nascita di un figlio. Con questa trama, così moderna e interrazziale, Mura osò veramente troppo e incappò nelle ire di Mussolini.


Il Duce fece sequestrare il romanzo e sorvegliare l’autrice dalla polizia politica.


Ma lei continuò a vivere come più gradiva, senza nessuno compromesso per compiacere la morale comune.


E qualche anno dopo, la sua morte fu tragica e coerente con il personaggio: perse la vita in un incidente aereo, precipitando sopra le Eolie, al ritorno di un viaggio in Africa con il suo amante.


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