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Immagine del redattoreDaniela Bartoli

Victor Vasarely L’arte scoperta dalla Luna

di Daniela Bartoli


È il 20 luglio 1969. Neil Armstrong e Buzz Aldrin, a bordo dell’Apollo 11, sbarcano sulla Luna. Nello stesso anno Victor Vasarely, figura chiave della Op-Art (cioè l’Optical Art) che nel 1955 aveva organizzato a Parigi una mostra dal titolo Le Mouvement, elabora una teoria pittorica sul cosmo attraverso una rivisitazione filosofica e romantica della sua arte, nata essenzialmente come geometrica e funzionale. E, sull’onda della missione dell’Apollo 11, dipinge un’opera rivoluzionaria, intitolata “Vega Pal”.


La Luna ha compiuto la magia, Victor Vasarely ne diventa il deus ex machina in campo pittorico.


Le suggestioni ispirate dalla sfera di luce sognata, studiata, dipinta, raccontata da artisti, scrittori, astronomi fin dalle origini del mondo diventano realtà concrete grazie a una scoperta epocale. E adesso? Cosa succede nel mondo della pittura contemporanea all’Apollo 11?

Temi mistici e religiosi si fondono insieme con quelli scientifici e matematici; i limiti fisici della tela sono superati, creando una visione capace di coinvolgere in prima persona nella definizione del rapporto fra ciò che è rappresentato e ciò che è percepito.


Lo spettatore dell’opera di Vasarely non rivolge più lo sguardo solo dal punto di vista ottico-cinetico, ma anche da quello emozionale, diventando parte stessa dell’immagine visiva.


Entra grazie agli effetti ottici che arrivano a dare il senso di tridimensionalità al quadro che esalta la forma geometrica e i colori.

Nato nel 1906 a Pécs, in Ungheria, la sua vita è una costante ricerca di equilibrio fra arte e filosofia, documentata da centinaia di appunti e riflessioni che riguardano non solo la personale ricerca, ma anche l’arte del suo tempo, la scienza, la sociologia.


L’illusione ottica delle sue opere di Op-Art è la stessa dell’uomo di fronte all’illusione dell’essere.


Fra utopia sociale e sperimentazione matematica Vasarely, figlio della Bauhaus, si cala e fa calare chiunque si avvicini alle sue opere nelle sue tele popolate da cilindri, coni, cubi distorti e allungati, capaci di suggestionare, ingannando la retina. All’inizio prevale il contrasto fra bianco e nero; più avanti il colore assume un significato sempre più incisivo.

Dopo la scoperta della Luna, il miracolo. Le tele da bidimensionali diventano tridimensionali, grazie a quei “volumi inesistenti” che diventano la cifra della sua pittura.


Quando dipinge la sfera che emerge dal piano statico della parete, l’opera d’arte diventa un vero e proprio “territorio nuovo”.


Il suo “Vega Pal” è proprio così: misterioso come il satellite della Terra. Un luogo fisico e un corpo in movimento appena scoperto ma ancora da esplorare, a cui Vasarely aggiunge colori e linee. È la superficie stessa che esce dalla tela per entrare nell’immaginario di chi vi si approccia con lo sguardo attento, disposto a farsi avvolgere e catturare.

L’opera diventa dinamica, rendendo ogni quadro diverso dagli altri.

Victor Vasarely nel 1960 è fra i fondatori del Groupe de Recherche d’Art Visuel. Intorno alla metà degli anni Sessanta, con la partecipazione alle importanti mostre di Op-Art al MoMa di New York e a Parigi e con la conquista del Premio Guggenheim, si assiste alla sua definitiva consacrazione nel panorama dell’arte internazionale.

È un figlio del suo tempo; un artista, un uomo profondamente ancorato da un lato alla sua formazione scientifica e dal punto di vista artistico all’ideale bidimensionale concreto e cinetico dell’arte futurista; dall’altro, sinceramente affascinato dalla ricerca della grafica impostata sulle griglie modulari e strutturali diverse. La scoperta della Luna, la modernità del suo tempo, lo spingono oltre la bidimensionalità, fino a superarla.


L’inquieto Vasarely è l’emblema dell’uomo moderno, che sente l’instabilità del contemporaneo e vi si lancia con la curiosità precisa dello sperimentatore scientifico, trasferendo nell’opera la sua stessa instabilità grazie all’illusione ottica provocata dall’instabilità percettiva delle sue linee modulari, per ritrovarvisi dentro completamente.


Giocare con le linee e con i colori scientemente. Questo l’obiettivo dell’artista innovativo e curioso, grande estimatore di Escher e, come lui, affascinato dalle geometrie e dall’utilizzo dei volumi e delle illusioni ottiche nell’arte.

Le sue opere sono come enormi Luna Park (Luna, appunto…) della pittura: stimoli e pungoli per chi le guarda, che vengono quasi sfidati scientemente ad “entrare” nella tela e a ritrovare equilibri e centri di gravità fra le seduzioni e suggestioni visive delle linee e dei colori caleidoscopici. I dipinti sembrano ragnatele fatte di triangoli e quadrati, linee e volumi che catturano l’osservatore, intrappolandolo in una dimensione inesistente e illusoria che si dilata e contrae. È lo stesso approccio dell’uomo contemporaneo alle sollecitazioni delle nuove scoperte, come quelle della Luna, magnetica e misteriosa, di fronte alla quale, dopo un primo momento di vertigine e disorientamento, arriva quello dell’equilibrio, raggiunto successivamente al senso di smarrimento e instabilità del “nuovo”.


L’unicità del messaggio dell’artista ungherese, innamorato della scoperta di Armstrong ed Aldrin, è la straordinaria deformazione della superficie, ottenuta attraverso la creatività e ordinata dal preciso calcolo matematico.


Sembra pulsare, muoversi, trasformandosi in un invito a oltrepassare la dimensione della percezione verso un universo ottico - e fisico - in continuo movimento. L’arte, in un momento cruciale per la storia e la scienza, non può esimersi dal dare il suo contributo al miglioramento delle condizioni di tutte le classi sociali. La formazione sartriana di Vasarely ha il suo perché. Il resto è Op-Art.


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