Winston Churchill stay bipolar!
Se aprite la Treccani alla voce “secondo Dopoguerra” trovate un capitolo intitolato La guerra fredda e il mondo bipolare.
Ebbene, nel 1945 al tavolo delle trattive di Jalta sedevano davvero due bipolari e un sadico.
Rispettivamente, Sir Winston Churchill, affetto da sindrome maniaco-depressiva (l’attuale bipolarismo), Franklin Delano Roosevelt, grande ipertimico (spettro del bipolarismo), e Iosif Stalin, definito da Erich Fromm in Anatomia della distruttività umana “un caso clinico di sadismo non sessuale”.
Lasciamo perdere il dittatore russo. La sua patologia, condivisa dal coetaneo Adolf Hitler, non è affatto interessante, e infatti è misurabile.
Diversi invece sono quei disturbi per i quali, non a caso, la moderna psichiatria parla di ‘spettro’, indicando con ciò una variabilità e una mobilità, e un’originaria imprecisione che ci rende tutti un po’ bipolari così come tutti un po’ autistici.
Da sempre accomunato alla depressione, Winston Churchill già ne vedeva la differenza e preferiva chiamarlo ‘cane nero’. La metafora del black dog è infatti originaria del folclore britannico ed attraversa tutta la letteratura inglese, dal mostro Grendel di Beowulf alla celebre “bestia nera” de Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle.
Se le patologie psichiatriche rendono simpatici gli artisti, quando riguardano i politici destano una più che legittima inquietudine.
Pensare che il mondo in cui siamo nati sia stato disegnato da tre psicolabili non è consolatorio, per quanto aiuti a spiegare molte cose. Eppure, come sempre quando di mezzo c’è il ‘dato umano’, c’è patologia e patologia e, soprattutto c’è uomo e uomo. E non è da escludere l’ipotesi che sia soprattutto quest’ultimo fattore a ‘scegliere’ la patologia d’elezione.
Non credo che un sadico paranoide come Stalin avrebbe mai potuto dire davanti al suo parlamento: “Non ho altro da offrirvi che sangue, fatica, lacrime e sudore”, perché non avrebbe goduto nel trovare preparato il suo interlocutore, il piacere del sadico è infatti nel tradire la fiducia dell’interlocutore.
Il bipolare, al contrario, è portato a confessare subitole sue intenzioni e, nel momento maniacale di ‘up’, contestualizzerà la sua visione - forse eccessiva, ma mai retorica:
“Se chiedete quale sia il nostro obiettivo, vi rispondo con una parola: la vittoria, la vittoria a ogni costo, la vittoria malgrado ogni terrore, la vittoria per quanto lunga e aspra possa essere la via; perché senza vittoria non vi è sopravvivenza”
(13 maggio 1940 Sir Winston Churchill alla Camera dei Comuni)
Soltanto chi deve sopravvivere ogni giorno non si spaventa all’idea di combattere “con crescente fiducia… qualunque possa esserne il costo” (4 giugno 1940).
Solo chi ha paura di morire può - e deve - dire: “We shall never surrender”, perché se ci si arrende “tutto ciò che abbiamo conosciuto e amato, affonderà negli abissi di una nuova età oscura” (20 agosto 1940).
L’etica diventa allora l’unico perno per restare all’interno della comunità degli uomini anche quando si è in preda a una bestia nera.
Donald Trump, sul cui stato di salute mentale si sono spesi fiumi di parole, nel suo primo discorso alla Casa Bianca ha citato sì Churchill (“Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui luoghi di sbarco, nei campi e nelle strade e nelle montagne”) ma ha poi aggiunto: “Stiamo trasferendo il potere da Washington e lo restituiamo a voi, il popolo”, dimostrando di ispirarsi in realtà a Bane, l’antagonista di Batman (cfr Tom Hardy in Il Cavaliere Oscuro, il ritorno). Mentre il suo mite successore Joe Biden, la cui lucidità ogni tanto perde colpi, ha preferito rivolgersi al popolo con un linguaggio che sa più di parrocchia (è cattolico, d’altronde) che di politica: “Ascoltiamoci l’un l’altro. Vediamoci l’un l’altro. Mostriamo rispetto gli uni per gli altri.”
Torniamo ai nostri mattacchioni di Jalta.
“Sono convinto che se c’è qualcosa da temere è la paura stessa, il terrore sconosciuto, immotivato e ingiustificato che paralizza. Dobbiamo sforzarci di trasformare una ritirata in un’avanzata”.
Franklin Delano Roosevelt, 4 marzo del 1933 al suo discorso inaugurale per il terzo mandato. In Europa stava accadendo il finimondo e pochi anni dopo l’America sarebbe entrata in guerra.
Forse stava parlando di sé, ma cosa importa? Il 6 giugno del 1944 quell’avanzata eroica avvenne sulle coste della Normandia e liberò l’Europa dal Male nero.
Nell’opera che nel 1953 gli valse il premio Nobel per la Letteratura, Churchill ha scritto: “I governi e i popoli non sempre prendono decisioni razionali. Talvolta essi prendono decisioni pazzesche, oppure alcuni popoli impongono a tutti gli altri di seguirli nella loro follia”.
Che dire, oggi possiamo solo augurarci di capitare nello spettro della follia migliore.
Fonte immagine copertina: www.npg.org.uk
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